“Il
vecchio e il mare”… e Vera!
Anche
se non amavi molto leggere, a causa della tua dislessia, il romanzo prediletto
che cercavi comunque di affrontare e comprendere in diverse occasioni era “il vecchio e il mare” di Ernest
Hemingway: un romanzo breve, ma nel
contempo intenso, che racconta la storia di un povero vecchio pescatore cubano,
di nome Santiago, che cattura un grosso marlin (pesce spada) e cerca di salvare
la sua preda dall'assalto dei pescecani. Eri così affascinata dall’autore
che un giorno mi raccontasti tutta la sua vita fino al tragico epilogo.
Col
senno del poi, ho cercato di comprendere questa tua particolare attrazione nei
confronti del romanzo e dell’autore:
-
La vita come sfida al destino: come il vecchio cerca di
lottare con un pesce spada, così tu cercavi di affrontare le avversità della
vita;
-
Il tema della fusione dell’uomo con la natura: durante tutto
il racconto il vecchio Santiago è animato da un rispetto profondo per quel
pesce nella sua lotta contro la determinazione del pescatore; altrettanto tu,
rispettavi la natura cercando di assaporarne l’essenza attraverso tutti i suoi
frutti;
-
I suoi scritti, profondamente
ispirati a uno stile di vita, sono pervasi dallo sprezzo del pericolo e
dall’incombere della morte; altrettanto tu, in diverse circostanze della vita,
affrontavi situazioni pericolose senza timore manifestando oltremodo
perplessità davanti al nulla che la morte reca con sé;
-
E. Hemingway, il 18 ottobre 1918, scrisse questa lettera ai genitori: “Morire è una cosa
molto semplice. Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto morire
sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto... E
come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa,
andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le
illusioni disperse.”
Anche Vera
lascerà uno scritto, rinvenuto dopo la sua scomparsa, dove si evince tutto il malessere
interiore e l’intenzione di lasciarci.
28/05/’20
Come superare questo
disagio?
All’apparenza tutto mi
sembra normale, ma
normale non è; in una vita
non sono riuscita a
costruire una mia
individualità, una indipendenza;
sono e mi sento una pulce
tra il pelo di un coniglio.
Non vedo come rompere
questo cerchio,
nonostante i vari aiuti e
incoraggiamenti…
Sorrido sì, sembro sempre
sorridente ma poi chi
sono e dove vado a pesare,
su chi… ora basta!
Ahahah!!!
Sarei un bradipo anche
come senza tetto… perché
come è, dove come inizio.
Mi odio da sola
Ci rido sopra e brindo
alla stupida me!
La quarantena mi ha messo
davanti allo specchio e
mi dice… sì fai bene se ci
riesci
Il fallimento totale non
riesco, non riesco, a
concepire una esistenza dove
essere quella soggetta
dell’autismo fa male non
riesco… ore ore
di lettura nulla, imparare
una canzone
essere sempre in una zona
di cronica distrazione
ma quando sarò lontana da
qui!
Cosa mi aspetterà
Avrei voluto essere al
contrario
un aspetto fisico sognato
e buona materia grigia
che così così sembra
normale ma non lo sono!
Mi odio mi odio
SI FA FESTA IN PARADISO?
In Paradiso tutti si conoscono, ti chiamano. E tu li
chiami.
Si crea in te la consapevolezza di essere un chiamato,
un invitato, uno a cui viene regalato l’invito a
vivere in
Paradiso. E vivi da chiamato, da invitato. Incontrando
gli
altri, li senti loro pure chiamati e invitati.
Come a una festa. Ma molto di più, qui. Perché qui è
sempre festa. E il bello è che si fa festa senza nulla
di
eccezionale. Né musiche, né balli, né rinfreschi, né
addobbi.
Niente di tutto questo. La festa consiste nel rimanere
incantati. Un incantesimo?... Sì, però reale.
La festa sta nel contemplare, a bocca aperta, quello
che
ti succede dentro e attorno.
Qui sei chiamato a far festa, ma soprattutto ad essere
in festa. La festa consiste nel fatto
che ti senti un chiamato. Non è il fatto che ti hanno
chiamato,
ma che ora ti chiamano: è, per intenderci, una
chiamata
che dura all’infinito. Non c’è un prima: ti hanno
chiamato, e un poi: vai a far festa. C’è solo una
chiamata
da dentro di te che prosegue e ti forma la coscienza
dell’essere
in festa... E la festa esteriore?.
Niente. La coscienza dell’essere un chiamato e a tua
volta un chiamante è la vera festa, qui in Paradiso. È
l’essenza
della festa, questa, perché comprendi sempre più
che la gioia della festa non è esterna a te, ma sei
tu, di
fronte e in comunione con Colui che ti chiama: il
Paradiso.
La festa è come una voce, un respiro, un’anima che ti
passa dentro e ti forgia a tua volta come un
chiamante. A
essere nella festa, nella gioia.
Nel nome di una voce: quella del Paradiso. E comprendi
allora che la voce che ti invita ad essere in festa ti
stimola
al Pellegrinaggio, ad andare incontro con gioia a
questa situazione; e che il cammino non pesa affatto,
non
stanca, ma è leggero e spedito.
Ecco perché negli affreschi gli angeli hanno le ali!
Qui
non le ha nessuno, ma tutti volano gioiosi e veloci
come
angeli con le ali.